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Donazione del cordone ombelicale, facciamo chiarezza

Il 7 aprile 2017, decine di associazioni in tutta Italia hanno ospitato la prima proiezione in simultanea del documentario “Sangue del suo sangue”, realizzato dall’ostetrica Amyel Garnaoui con il marito, il regista Angelo Loy: 26 minuti di interviste a ginecologi, ematologi, bioeticisti e mamme sul tema della donazione del sangue del cordone ombelicale.

È dal 1993, con l’apertura della prima banca pubblica per la conservazione del sangue cordonale nel nostro Paese, che le future mamme vengono invitate a donare le preziose cellule staminali contenute nel cordone dopo aver dato alla luce i propri bimbi. Ma che cosa donano esattamente? Scarti che altrimenti verrebbero gettati nel cestino dei rifiuti sanitari, o sangue che appartiene al neonato? La legatura del cordone ombelicale ancora pulsante e il prelievo del sangue al suo interno possono comportare dei danni per la salute del piccolo? A quali condizioni la donazione è sicura? Sono alcune delle domande sollevate dalla video inchiesta.

 

Una riserva di cellule staminali

Il sangue contenuto nei vasi del cordone ombelicale e della placenta alla nascita è ricco di cellule staminali emopoietiche, cioè cellule indifferenziate che possono generare globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. “Una risorsa preziosa per chi soffre di alcune gravi malattie del sangue, come la leucemia, i linfomi, la talassemia”, spiega l’ematologo Paolo Rebulla, cofondatore della prima banca pubblica del sangue cordonale, quella di Milano, e oggi consulente della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, “e che non riesce a trovare un donatore di midollo osseo adulto compatibile per ricevere un trapianto. Le staminali del cordone, immature dal punto di vista immunologico, comportano un minor rischio di rigetto anche quando la compatibilità tra donatore e ricevente non è perfetta”.

Oggi in Italia sono attive 19 banche che raccolgono, analizzano e conservano le unità di sangue cordonale donate al momento del parto in 320 punti nascita convenzionati. “Attualmente abbiamo circa 40 mila sacche conservate”, dice l’ematologo. “Ne usiamo solo una piccola parte, ma dobbiamo raccoglierne tante per disporre della massima varietà possibile di caratteristiche genetiche, così da aumentare le probabilità di trovare le cellule compatibili con qualunque paziente ne faccia richiesta. Per questa ragione, nei prossimi anni miriamo a incrementare ancora di più il numero”.

Le banche italiane sono collegate tra loro a formare una rete, coordinata dal Centro Nazionale Sangue, e le caratteristiche genetiche delle cellule conservate sono riportate in un registro internazionale, così che da ogni parte del mondo si possa identificare in tempi brevissimi la sacca utile per un dato paziente e fargliela pervenire.

 

Di chi è il sangue del cordone?

Durante la gravidanza, il sangue del nascituro circola continuamente tra il suo corpo e la placenta attraverso il cordone ombelicale, un funicolo gelatinoso al cui interno scorrono due arterie e una vena. Le arterie trasportano sangue povero di ossigeno e ricco di prodotti di rifiuto dal feto alla placenta, che in virtù dei suoi scambi col sangue materno, ossigena il liquido, lo pulisce dagli scarti del metabolismo e lo rifornisce di nutrienti. Quindi il sangue fetale torna al nascituro attraverso la vena ombelicale.

La circolazione non si interrompe nell’esatto istante in cui il bimbo viene alla luce, ma prosegue ancora per alcuni minuti, mentre il piccolo è impegnato nei suoi primi atti respiratori e si adatta alla vita extra-uterina. Durante questo intervallo di tempo, le contrazioni dell’utero spingono il sangue ossigenato presente nella placenta verso il neonato, passando per il cordone che ancora pulsa. È un fenomeno fisiologico che prende il nome di trasfusione placentare.

Secondo un documento del 2015 del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists britannico, questo passaggio frutta al bambino dagli 80 ai 100 ml di sangue extra, che contengono dai 60 agli 80 mg di ferro, una scorta sufficiente a soddisfare le necessità del piccolo per 5 o 6 mesi di vita. Quando la pulsazione cessa, lo scambio tra placenta e neonato è terminato.

Se il cordone viene “clampato”, cioè chiuso con due pinze e poi tagliato, prima che abbia smesso di pulsare, la trasfusione placentare si interrompe e parte del sangue destinato al neonato rimane nella placenta e nei vasi del cordone stesso. In passato si credeva che clampare il cordone immediatamente dopo l’espulsione del bambino riducesse il rischio di ittero neonatale e di emorragia post partum per la madre, così per decenni la legatura precoce è stata adottata comunemente nella pratica clinica in Italia e nel mondo.

Nuove evidenze

“Negli ultimi dieci anni si è andata accumulando una serie di evidenze scientifiche di verso opposto”, dice il ginecologo Enrico Ferrazzi, direttore del Dipartimento donna, mamma e neonato dell’Ospedale Buzzi di Milano e responsabile del gruppo di studio sulla medicina perinatale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. “Numerosi studi hanno dimostrato che il neonato trae beneficio dalla trasfusione placentare. Quel sangue in più aiuta il suo sistema cardiovascolare ad adattarsi al funzionamento extra-uterino, riduce sensibilmente il rischio di anemia a 5-6 mesi e favorisce il suo sviluppo neurologico. Un paio di anni fa, la mole dei risultati critici nei confronti del clampaggio immediato ha raggiunto un livello tale da non poterli più ignorare. L’OMS ha pubblicato un documento  che raccomanda di aspettare da 1 a 3 minuti prima di legare e tagliare il cordone. Allo stesso modo si sono pronunciate numerose società scientifiche, tra cui la SIGO in Italia. Non è che oggi sia vietato clampare prima di un minuto dalla nascita, ma chi lo fa va contro l’evidenza scientifica e le buone pratiche cliniche. Un tempo si clampava precocemente nella maggioranza dei parti. Sulla situazione attuale non abbiamo dati certi, ma ritengo che un 50% degli operatori si conformi alle nuove indicazioni e aspetti almeno un minuto”.

Minuti preziosi

Che cosa accade quando i genitori accettano di donare il sangue del cordone? Dopo l’espulsione del bambino e prima di quella della placenta, l’ostetrica clampa il cordone ed estrae il sangue presente nei suoi vasi. “Ovviamente, quanto prima si lega il cordone, tanto più sangue si ricava”, spiega Gennaro Volpe, ematologo di Bari e presidente della sezione di Bari dell’Associazione Donatrici Italiane di Sangue da Cordone Ombelicale.

Su questo aspetto si concentra l’attenzione del documentario “Sangue del suo sangue”. Inizialmente l’inchiesta aveva ricevuto il patrocinio della Regione Lazio, successivamente ritirato su sollecitazione del Centro Nazionale Sangue. Per quale ragione? “Le associazioni promotrici del documentario”, risponde Simonetta Pupella, responsabile dell’area sanitaria del Centro, “esprimono critiche nei confronti del prelievo del sangue contenuto nel cordone ombelicale perché tale pratica ridurrebbe l’apporto di sangue al neonato durante le fasi finali del parto, con conseguenze negative per la salute del neonato stesso.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e le società scientifiche di molti Paesi raccomandano la legatura e la recisione del cordone non prima di un minuto e l’Italia ha recepito queste indicazioni, sulla base di un parere espresso formalmente dalla Società Italiana di Neonatologia: l’Accordo Stato-Regioni 20/04/2011 stabilisce che, nel caso la coppia decida di donare il sangue cordonale al momento del parto, la legatura non deve avvenire prima di 60 secondi dalla nascita e la raccolta non deve mai interferire con l’assistenza al parto.

Per quanto riguarda la presunta incompatibilità tra donazione del sangue cordonale e la salvaguardia della salute del neonato, il prelievo da un minuto fino a due minuti dalla nascita determina una raccolta adeguata di cellule staminali e non interferisce con le procedure del parto. Da quando è stata introdotta in Italia la raccolta del sangue cordonale per finalità di donazione (1993) nessuna reazione avversa è stata segnalata a carico dei neonati ‘donatori’. Stesso dicasi per gli altri Paesi europei ed extra-europei”.

Informarsi per poter scegliere

“Oggi dunque gli operatori dei centri nascita accreditati per la donazione sono tenuti ad aspettare un minuto prima di clampare e inserire l’ago per la raccolta”, dice Gennaro Volpe. “Così facendo, otteniamo meno cellule, ma qualcosa riusciamo comunque a raccogliere. L’importante è clampare prima che il cordone abbia smesso di pulsare, perché dopo rimane ben poco da prendere”.

Perché il trapianto di staminali da cordone abbia maggiori probabilità di successo, è necessario che la sacca di sangue contenga un numero elevato di cellule. Ce ne vogliono almeno un miliardo e mezzo perché la donazione venga accettata dalla banca. Attualmente in Italia la percentuale di unità di sangue prelevato che soddisfano i requisiti e vengono accettate dalle banche è dell’8,4%

“L’importante è che i genitori siano informati di tutti gli aspetti della questione: per raccogliere la maggior quantità di staminali bisognerebbe clampare subito, ma questa pratica nuoce al neonato e infatti è esclusa dalle linee guida dello stesso Centro Nazionale Sangue”, dice Enrico Ferrazzi. “Aspettando un minuto prima di clampare, il bambino riceve buona parte del sangue contenuto nei vasi della placenta e del cordone, ma non tutto quello che riceverebbe aspettando tre minuti. Donare clampando a un minuto è possibile, ma la probabilità che la donazione vada a buon fine è bassa. Aspettando tre minuti prima di clampare, non rimane nulla da donare”.

Disponendo di tutte le informazioni più aggiornate sull’argomento, i futuri genitori possono decidere in piena serenità e consapevolezza quel che preferiscono fare alla nascita del proprio bambino.